Sardegna e usucapione immobiliare
Chiunque si sia affacciato al mercato immobiliare in Sardegna si sarà scontrato probabilmente con l’annosa questione della mancanza di titoli di proprietà per immobili per una cospicua porzione del patrimonio locale.
La questione certamente genera confusione e sospetto e spesso non si giunge a comprendere facilmente il perchè e il come si possa proporre sul mercato in vendita immobili senza titolo originario per la vendita, se è legittimo e soprattutto quali le implicazioni.
Ora per comprendere anzitutto la motivazione, facciamo una breve riflessione storica sulle proprietà immobiliari in Sardegna, in particolare i fondi di natura agricola.
Nel corso dell’Ottocento la Sardegna conobbe una serie di vicende legate a specifici provvedimenti del governo Sabaudo finalizzati ad imprimere all’economia e alla società dell’Isola una forte spinta modernizzatrice.
Il Regio editto sopra le chiudende, sopra i terreni comuni e della corona, e sopra i tabacchi, nel regno di Sardegna, emesso il 6 ottobre 1820 e pubblicato nell’aprile del 1823, si proponeva sostanzialmente di introdurre miglioramenti nel settore agrario, ammodernare le tecniche produttive, incoraggiare gli investimenti nelle campagne, creare una proprietà chiusa per favorire la nascita di un ceto di proprietari fedeli alla corona e affievolire il potere dei feudatari: lo strumento principale era l’abolizione della forma di gestione comunitaria della terra che da secoli caratterizzava l’economia agraria dell’Isola.
Nasce così “la proprietà perfetta” delle terre, nel 1936-39 viene abolito il sistema feudale e il catasto verrà introdotto solo nel 1840.
In realtà nulla di ciò accadde e vi furono molti soprusi e ingiustizie che diedero vita ad una forte resistenza e conseguenti atti intimidatori per far valere le ragioni delle parti più deboli, costrette a pagare canoni di affitti e ad una dura repressione da parte dello stato con atti di giustizia sommaria che causò diverse morti.
Molti pastori si diedero alla macchia per sottrarsi agli arresti immotivati e alle condanne emesse ingiustamente e da quì il nascere del fenomeno del banditismo in Sardegna.
In questo contesto storico culturale l’acquisizione di molti fondi avvenne per semplice uso più o meno pacifico uti dominus (termine giuridico che indica il possesso di un bene come se ne fosse il proprietario in una situazione di inerzia del proprietario).
Tale stato di cose non indica certamente un’appropriazione indebita visto che la legge italiana con l’istituto dell’usucapione tutela sia il proprietario che il possessore.
Il fondamento dell’usucapione è un’esigenza di ordine generale, che è quella di eliminare le situazioni di incertezza circa l’appartenenza dei beni; una consolidata situazione di fatto come il possesso di un bene protratto per un certo tempo è di per sé stessa considerata modo di acquisto della proprietà.
Chi compra sa di fare un giusto affare solo se chi ha posseduto bene per il tempo necessario per usucapirla. Bisogna concepire che possedere il titolo di proprietà di un bene immobile non significa necessariamente averne il possesso, ma permette di far valere i propri diritti in sede legale.
L’Art. 1158 del codice civile stabilisce che la proprietà dei beni immobili e gli altri diritti reali di godimento sui beni medesimi si acquistano in virtù del possesso continuato per vent’anni.
L’Art.1159, stabilisce che colui che in acquista in buona fede da chi non è proprietario un immobile, in forza di un titolo che sia idoneo a trasferire la proprietà e che sia stato debitamente trascritto, (atto pubblico dal notaio) ne compie l’usucapione in suo favore col decorso di dieci anni dalla data della trascrizione.
Il possesso deve essere detenuto in maniera pacifica e ininterrotta per tutto il periodo affinché si possa far valere questo diritto.
Agli effetti dell’usucapione è irrilevante che il possesso sia di buona o di mala fede. Questa circostanza può influire solo sulla durata del possesso necessario per l’usucapione.
Ad ogni modo a parte quanto menzionato sopra molti fondi sono passati da padre in figlio in eredità per semplice possesso e nella migliore dei casi sono state operate volture catastali in concomitanza ad atti di successione. E’ di fatto una questione storica culturale e di arretratezza, la tendenza nel passato di non operare le necessarie azioni legali e burocratiche per far valere il diritto acquisito tramite il possesso spesso detenuto per ben più di 20 anni.
Ora nel corso di più di quindici anni di operatività, mi sono imbattuto spesso in situazioni dove la vendita di un immobile era per così dire inficiata dalla mancanza di titolo di proprietà del terreno dove sorgeva l’immobile.
Di fatto questo è una peculiarità sia dell’interno che delle zone di sviluppo turistico della zona costiera, visto che quelle stesse zone qualche decennio prima non erano altro che fondi agricoli divenuti in seguito edificabili.
Quali sono i rischi reali e le implicazioni nel caso di un acquisto in tali condizioni ?
- Con la mancanza di un titolo di proprietà con traccia storica di 20 anni o 10 anni nel caso dell’usucapione abbreviata menzionata sopra è praticamente impossibile ottenere un mutuo da un istituto di credito
- Il rischio di essere citati da potenziali aventi diritti sul bene immobile è presente ma decisamente piuttosto improbabile visto e considerato la diffusione del fenomeno e il fatto che per mia esperienza il possesso è sempre stato pacifico e in moltissimi ben oltre i 20 anni
- Nel caso di una vendita dell’immobile acquistato con questa “anomalia” in caso di rivendita si potrebbe avere qualche problema, soprattutto se chi si occuperà della vendita e della mediazione non ha piena comprensione delle dinamiche in gioco
- Il consiglio è di affidarsi a un agente immobiliare di fiducia e di comprovata serietà, competenza e onestà. Che sappia fornirvi tutte le indicazioni e che possa fornirvi tutte le informazioni e dettagli anche per tramite di tecnici e notai di fiducia in loco